Incapacità di intendere e di volere nei testamenti olografi
L’art. 428 del Codice civile attesta che: “Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’ autore”.
E’ doveroso sottolineare che nel caso dei testamenti olografi l’incapacità deve essere totale ed è necessario dimostrare che essa si è verificata nel corso dell’atto compiendo, deve cioè aver avuto luogo nel momento esatto in cui le ultime volontà sono state redatte.
Pur essendo l’incapacità di intendere e di volere argomento di giudizio riservato alla medicina, la quale è abilitata a formulare diagnosi sui pazienti affetti da i.i.v., talvolta anche ai Grafologi viene richiesto dalle autorità inquirenti di esprimersi sulla capacità o meno di testare da parte del de cuius.
Dobbiamo però subito evidenziare quanto questo specifico esame grafologico possa rivelarsi complesso ed insidioso per il Consulente soprattutto per la difficoltà di operare strettamente in ambito scientifico. Infatti la grafia di ciascun soggetto, come ammettono molti stimati grafologi di chiara fama, è l’espressione di impulsi cerebrali che coinvolgono anche gli strati cognitivi del soggetto scrivente, il quale nell’atto dello scrivere può evidenziare segni di disintegrazione della personalità in relazione alle sue capacità di determinarsi e di discriminare in merito alle sue scelte.
Se è vero che determinati segni grafologici e ancor più alcune correlazioni e interazioni tra segni evidenzia potenziali o conclamate patologie, è anche vero che attraverso l’esame di alcuni parametri grafici è possibile risalire alla qualità e alla quantità della sua attenzione, del suo orientamento visuo-spaziale, della memoria, della sua capacità critica, ecc.
Tuttavia è da doveroso tener presente che non in tutti i soggetti scriventi – come annotava Girolamo Moretti – la disintegrazione di determinati segni o costellazioni avviene allo stesso modo. Ne consegue che non esistono parametri fissi ai quali il grafologo può attenersi per la diagnosi grafologica di i.i.v.
Il giudizio sulle facoltà cognitive del soggetto scrivente deve perciò essere prudente e sempre graduato nell’ambito delle probabilità e soprattutto deve essere messo in relazione con l’anamnesi personale e la documentazione clinica disponibile la quale deve essere attentamente visionata e valutata dal Grafologo in ordine alle specifiche ripercussioni che le eventuali patologie possono aver avuto sulla scrittura del paziente.
Alcuni Grafologi, non essendo medici in grado di diagnosticare con i consueti strumenti della medicina ufficiale, preferiscono non esprimersi sull’incapacità di intendere e di volere e si limitano a parlare di manifestazioni che possono menomare o condizionare in gradi più o meno elevati la capacità di determinarsi. Altri invece – e tra questi troviamo forse il più noto e preparato Grafologo italiano, Bruno Vettorazzo – ritengono che anche il Grafologo possa esprimersi in ordine all’i.i.v.
Il Vettorazzo, nel suo “Metodologia della perizia grafica” (ed. Giuffrè), dedica ampio spazio all’argomento dell’incapacità di intendere e di volere e propone un valido strumento per quantificare il grado dell’i.i.v. Tale metodologia che illustra nel dettaglio le manifestazioni grafiche che ricorrono nelle scritture di soggetti affetti da i.i.v. può essere facilmente adottata anche dai periti grafologi e dai consulenti del Giudice che vengono chiamati a rispondere a questo particolare e delicato quesito.
Autore: Giuseppe Amico – Consulente Grafologo ai sensi della Legge n. 04/2013. E possibile distribuire questo articolo per soli scopi didattici, per l’uso personale ma non commerciale con la citazione della fonte e dell’autore. Articolo diffuso con Licenza Creative Commons – condividi allo stesso modo. Non è possibile modificare l’articolo.