Attendibile l’esame grafico di copia fotostatica?

Questo articolo mi è stato postato dall’avvocato Stefano Gallandt di Milano che in merito alle indagini grafologiche sulle fotocopie dei manoscritti segnala che la recentissima sentenza del Tribunale di Perugia, la n. 2313/2016, depositata il 13.10.2016, la quale, in merito al problema dell’attendibilità dell’esame grafico di copie fotostatiche di scritture, ha sancito il seguente principio di diritto:
“In sede di querela di falso, laddove la parte che sostenga l’autenticità della sottoscrizione abbia omesso senza congrue giustificazioni di provvedere al deposito dell’originale della scrittura contestata di cui aveva la disponibilità materiale e giuridica, nonostante il reiterato ordine di esibizione emesso dal Giudice, e al contempo la conformità all’originale della copia della scrittura acquisita in giudizio e oggetto di perizia calligrafica non sia stata contestata da alcuno dei convenuti, nei casi in cui il CTU ritenga che la fotocopia in esame costituisca un documento idoneo a formare oggetto di valutazione grafologica, il giudizio espresso a seguito dell’esame grafico della copia fotostatica, se congruamente motivato, è da considerarsi attendibile”.
E’ il caso di segnalare come in merito al problema dell’attendibilità di un esame grafico condotto su copia fotostatica, la Corte di Cassazione non si sia espressa in modo uniforme. Recentemente, la Cass. Civ., Sez. VI-2, con l’ordinanza n° 20484 del 29.09.2014, ha statuito che “in effetti soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità o addirittura singolarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione” con un richiamo espresso ad una precedente pronuncia (Cass. Civ., Sez. II, n. 1831 del 18.02.2000) secondo la quale “Solo se compiuta sul documento originale – in relazione al quale è configurabile l’accertamento dell’autenticità -la verificazione può utilmente condurre, in alternativa al riconoscimento, al risultato di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore. Tale attribuzione non potrebbe essere giustificata dalla verificazione operata su una copia (…)”.
Diversamente, secondo altro orientamento (Cass. Pen., n. 42938 del 21.11.2011) “Nessuna norma impone che la perizia grafologica su di un documento sospettato di falsità debba necessariamente svolgersi sull’originale e non su di una copia fotostatica”. (conforme, Cass. Pen., n. 7175 del 03.07.1979).
Parte della dottrina e della giurisprudenza, con un orientamento a nostro avviso condivisibile, osservano però come il contrasto sia solo apparente, essendo opposti gli obiettivi che un’indagine grafologica si propone con riguardo al procedimento di verificazione di una scrittura, nel quale appare necessario l’esame grafico dell’originale la cui sottoscrizione è disconosciuta, piuttosto che nel caso di querela di falso.
In proposito, osservava lucidamente il Tribunale di Messina, con sentenza del 27 novembre 2002: “Non si ignora che, con riferimento al procedimento di verificazione di scrittura privata disconosciuta (art. 217 c.p.c.), ossia in ambito argomentativo bensì diverso ma contiguo, trovasi pacificamente affermato in giurisprudenza un principio apparentemente in contrasto, e cioè che all’istanza di verificazione può darsi corso (e la verificazione utilmente essere compiuta) solo se è acquisito al processo l’originale della scrittura medesima. …(omissis) dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto” (così ex multis Cass. 18 febbraio 2000, n. 1831; 19 ottobre 1999 n. 11739).Il contrasto tra i due orientamenti è, però, solo apparente come può comprendersi alla luce del su evidenziato obiettivo dell’indagine di verifica e della peculiare utilità che, rispetto ad esso, solo l’analisi dell’originale può offrire: obiettivo che è esattamente opposto a quello che un’indagine grafologica si propone nel caso di querela di falso. Mentre infatti nel caso del procedimento di verificazione si tratta di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore, partendosi da una situazione in cui tale attribuzione è esclusa a seguito del tempestivo disconoscimento, nel caso del giudizio di falso si tratta, all’opposto, di smentire detta attribuzione superando la forza dimostrativa legale che di essa discenda dalla natura dell’atto (atto pubblico o scrittura privata riconosciuta). Mentre nella prima direzione (verificazione) l’utilizzo della copia non può mai dare risultati di certezza …,nella direzione opposta (accertamento del falso) quest’ultimo limite sussiste solo se l’accertamento tecnico condotto sulla copia, in ipotesi, non consenta di negare l’attribuzione della firma al suo apparente sottoscrittore, ma non quando esso già lasci emergere, senza margini di dubbio, la falsità dell’atto. Rispetto a tale fine dimostrativo, ove adeguatamente motivato sul piano tecnico grafologico, nessuna utilità aggiuntiva potrebbe apportare l’analisi dell’originale, non essendo logicamente ipotizzabile che lo studio di questo possa condurre a far ritenere autentico quello che l’analisi della copia (conforme all’originale) ha già dimostrato essere falso”.
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In conclusione, è data riscontrarsi in giurisprudenza una certa uniformità di valutazioni da una parte in ordine alla possibile attendibilità di una perizia grafologica eseguita su semplici copie fotostatiche di scritture nell’ambito dei procedimenti per querela di falso, nonché in ambito penale, dall’altra in ordine alla sua inutilizzabilità nell’ambito de procedimento di verificazione di scritture private.
Avv. Stefano Gallandt (avvocato in Milano)